
Non si sfugge al fantasma della sharing economy
Tag:Abusivismo, Affitto, Alberghi, Anno 2016, Anno 2017, Appartamento, Cedolare secca, Economia, Governo, Impresa, Italia, Lavoro, Legge di Stabilità, Liguria, Marketing, Multe, Partita iva, Pianeta Turismo, Politiche Turistiche, Provincia di Savona, Sharing Economy, Soggiorno, Strutture alberghiere, Strutture extralberghiere, Strutture ricettive, Tassazione, Unione Albergatori Provincia di Savona, Upa Savona, VacanzaOramai tutti i colossi dell’ospitalità possiedono una piattaforma che offre servizi di sharing economy, da Homeaway (Expedia) a Onefinestay (Accor) e FlipKey (TripAdvisor), oltre, ovviamente, al più famoso Airbnb.
Gli hotel di lusso o con un target molto elevato sono riusciti per ora ad evitare gli effetti negativi della sharing economy, ma è soltanto una questione di tempo.
Questo perché la sharing economy non è solamente un prodotto ma un cambio di paradigma, un mutamento del modo stesso con cui i viaggiatori immaginano le proprie esperienze lontani da casa.
Invece di resistere per evitare un cambiamento inevitabile, è importante capire quali siano i punti di forza e di debolezza di Airbnb e degli altri portali, in modo da essere pronti alla sfida dei prossimi mesi (non anni).
Airbnb è nato come un servizio di room sharing per i viaggiatori più avventurosi, ai quali bastava un materassino gonfiabile (da qui l’air del nome) per terra e due chiacchiere con un autoctono per sentirsi accolti alla perfezione.
Sono bastati pochi anni per vedere Airbnb aprire le porte a sempre più viaggiatori, aumentando esponenzialmente la propria offerta, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Airbnb è passato da offrire solo camere condivise in periferia ad attici a due passi da Times Square e dimore storiche di lusso in campagne da favola.
L’industria dell’ospitalità classica ha reagito lentamente a questo cambio di marcia, guardando con fin troppa sufficienza una piattaforma che veniva ancora percepita come prodotto solo per viaggiatori con pochissime pretese.
Oggi, purtroppo, è chiaro l’impatto di Airbnb e simili sull’industria ricettiva tradizionale.
Fino ad oggi, giustamente, ci si è preoccupati principalmente dell’aspetto fiscale, considerando che il sommerso nel settore è pari al 75%, ed è stata così istituita la cedolare secca al 21% per ogni affitto breve.
Un importante passo in avanti è stato fatto, rimangono però molti dubbi su diversi questioni, come la sicurezza delle strutture private e la mancanza di permessi e certificazioni.
La domanda, però, nasce spontanea…….
Siamo sicuri che in un regime di concorrenza leale questi portali di sharing economy fermerebbero la loro scalata?